Teramo in bici, tra Vezzola e Tordino
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Arrivare a Teramo in treno ha un suo fascino. Il convoglio si ferma proprio di fianco alle vetrate di un ristorante, con le siede e i tavoli ricoperti da un elegante drappo chiaro, nel classico assetto dellecerimonie importanti, mentre il cameriere in divisa bianco-nera dispone in ordine le posate. Da questa parte si affacciano le cucine: l’odore delle pietanze in cottura aumenta la realtà visivamente percepita e completa l’esperienza dell’ingresso in stazione.
Ma il sogno innescato da questo lato del locale svanisce dall’altro, dove c’è l’ingresso ufficiale. Un dehor con tre ombrelloni accoglie tavoli e sedie occupati da qualche avventore, nel tentativo di replicare verso la città l’eleganza dell’interno. Ma la coltre metallica di automobili che assediano il piccolo recinto dell’area ristoro, fino a ridosso delle mura dell’edificio e da lì tutt’intorno, compreso un distributore di carburante, rendono il tentativo vano. Da questa parte, l’alba del Capolinea bar ristorante, si spegne nel tramonto della sua stessa insegna luminosa.
Prima di lasciare la stazione do una occhiata ad una postazione di 10 stalli per bici, di antica concezione, con lo slot per la ruota ricavato da incavi in due blocchi di calcestruzzo, da cui fuoriescono corrispondenti anelli per agganciare la catena antifurto. A giudicare dallo stato, sembrano più che altro 10 mq in procinto di essere ceduti al parcheggio di un’auto, come l’intorno ben testimonia.
Con una certa amarezza, e un po’ di rammarico per il sogno spezzato, comincio il tour teramano lungo il Vezzola e il Tordino. In bici, ovviamente, perché da Pescara sono venuto in treno+bici.
L’ingresso al parco fluviale del Vezzola non è agevole. Non c’è un segnale, e io a intuito ci arrivo seguendo una ripida discesa. Superate due disallineate sbarre di ingresso (roba fatta apposta per far torcere la bici al ciclista), procedo risalendo il fiume. Si vede che si tratta di un parco attrezzato. C’è la segnaletica, spazi per attività sportive ed incontri, fontanella acqua, muretti e recinzioni realizzati ad hoc. Però non ci vuole molto per farsi venire dei dubbi sul percorso: un cantiere di lavoro sotto l’impalcato di un alto ponte fa da soluzione di continuità al sentiero. Bisogna chiedere. Insomma, a salire il tutto finisce in un piccolo slargo, all’altezza del palazzetto dello sport che sta dall’altra parte del fiume: la vegetazione si è già rimangiata una panchina intera e l’intorno da l’idea di quei servizi che di solito stanno in fondo a destra o a sinistra. Peccato.
Torno indietro e giungo rapidamente all’area attrezzata. Attraverso un paio di ponti, ombrosi e suggestivi, con il fondo in tavolame. Le ruote della bici fanno il rumore di una mitragliatrice: difficile passare inosservati.
Torno al punto di partenza. Un po’ disorientato, chiamo la mia amica Luciana per avere lumi: ok, scavalco l’impianto sportivo, arrivo in fondo, torno sulla strada, poi subito a sinistra sul ponte e quindi a destra. Sono lungo il Tordino.
Il sentiero è finalmente chiaro, marcato, deciso e diversi ponti in legno lamellare spostano il tracciato di qua e di là del corso d’acqua. Ogni tanto si apre qualche radura con delle panchine. Alzando lo sguardo si intercettano case e palazzi: siamo comunque in un centro urbano, ma qualche scorcio di maggior pregio naturalistico non manca.
Nel mio andirivieni, per fare foto e per controllare il percorso, mi accorgo di superare diverse volte una ragazza che se la fa a piedi. Una decina di km sono buoni per una passeggiata a passo svelto, ma troppo pochi per una bici.
Ma c’è chi se li fa di corsa. Come Massimo che, seppur distratto dalle cuffie, mi riconosce e giustamente, da teramano, si sorprende di vedere un pescarese in bici lì. Ci teniamo con imbarazzo a distanza: mi racconta del fiume, del territorio, delle opportunità, delle possibilità. Lui, più montanaro, già vede dei sentieri che si agganciano alla rete del Parco del Gran Sasso – Laga. Poi però frena: ogni tanto dei volontari ripuliscono le sponde del fiume, si fa qualche iniziativa di sensibilizzazione, ma per il decollo ce ne vuole. E lo vedo anch’io che non c’è la grande cura di certi fiumi urbani del nord Italia o d’Europa.
Mi da qualche dritta: ci metto poco ad arrivare alla fine, in località La Cona, dove c’è il deposito bus, e con altrettanta rapidità torno indietro: in bicicletta si fa subito. Il tempo di riposarmi e rinfrescarmi alla fontanella, panino, controllare l’orario del treno, tornare in stazione e risalire sul treno. Sistemata la bici nello stallo sfalsato di tre posti, riguardo le foto. Sono nel dubbio se portare qui una comitiva di ciclisti: il percorso è breve e le suggestioni sono solo annunciate. Intanto il ristorante scorre rapidamente lungo i finestrini e lascia il posto al capotreno che mi chiede il biglietto. E mi invita a tenere su la mascherina. Non mi ci abituerò!