Pescara – Saranno più di 60, a partire da quando la strada è in sopraelevata, i piloni che sorreggono l’ultimo tratto dell’asse attrezzato, che nella sua parte finale atterra in Piazza della Marina, dopo aver lambito, con le bretelle di entrata e uscita, Piazza Unione e Piazza Italia, ovvero in sequenza il centro storico e quello politico amministrativo della città.
Sarà un caso, ma con questo asse viario di penetrazione urbana, e con le relative rampe di raccordo, sembra che progettisti e classe dirigente dell’epoca abbiano voluto non solo abbracciare panoramicamente certi luoghi (tra l’altro la visione dall’alto anche oggi sembra sia una apprezzata suggestione sensoriale) ma intercettare funzionalmente due fra le più pregiate aree di vita sociale e ricreativa della città.
Ma purtroppo non si tratta solo di una connotazione visiva, una linea tirata su un foglio di carta, su un monitor, da un disegnatore, ma nella sostanza di un nastro di asfalto su cui ogni anno transitano centinaia di migliaia di veicoli che nel loro andirivieni hanno contaminato, e lo fanno ancora, l’intorno urbanistico più prossimo oltre che quello più distante (si “atterra” in centro ma da qui si “decolla” anche).
E nel più vicino c’è quello che non esiste più, la golena sud del fiume Pescara, un patrimonio urbano naturale cancellato finanche dalla memoria delle generazioni più mature (quelle più giovani non ne conoscono ovviamente l’esistenza).
La golena del fiume Pescara, anzi, le golene, pur nel cuore della città, oggi sono ridotte a un garage all’aperto a nord e, con un’infilata di pilastri, a tessere di un domino di cemento armato testimone di una pianificazione viaria di altri tempi.
Lo scenario ex ante di questi luoghi sembra caduto in un oblio collettivo, e l’ottundimento delle menti, assuefatte ormai ad un’altra visione, rende improbabile qualsiasi risveglio. Ma stranamente qualcosa si muove all’orizzonte.
A tratti emerge la punta di un confronto che rimane ancora troppo sotto la linea di galleggiamento dell’informazione diffusa e della pubblica riflessione, cosicché chi ne parla sembra essere perso nel mare del disinteresse. Invece sembra che così non sia.
Anche facendo parlare certe carte, come quelle della pianificazione viaria “sostenibile”, come il PUMS per citare il più noto, che per il futuro prevede l’abbattimento del traffico automobilistico anche del 50%, e quindi la sostituzione di questo con altro. E non certo “altro” con diversa propulsione (da trazione endotermica a elettrica), altrimenti non sarebbe “riduzione”, ma di nuova concezione, quella che pian piano si sta affacciando sulle strade di tante città all’avanguardia, in Europa e quindi anche in Italia. Le piccole trasferte urbane, le più numerose come rileva ISTAT, non possono essere più coperte con mezzi ingombrati e mono utenti, ma con altre modalità, certamente individuali ma di minori domensioni, come per le bici, monopattini e derivati, e soprattutto collettive, garantite dal trasporto pubblico e altre formule organizzative. In questi scenari, all’interno dei quali anche l’attuale amministrazione si sta muovendo, certe strade, superstrade, non hanno più ragione di essere, e vanno quindi rimosse.
Guardando dall’alto il tratto di costa pescarese da sud a nord ci si accorge che il traffico di ingresso/uscita dalla città viene incanalato in un tridente viario: circonvallazione sud e nord e asse attrezzato come perno centrale. Sono assi che nel bene e nel male hanno fatto la loro storia e che ora possono/devono essere smontati per ridare i territori occupati ad altre funzioni, a partire dal verde, nel senso di riqualificazione territoriale paesaggistica, per finire con quelle sociali, di ritrovo e svago che la golena sud, libera dai pilastri, ma anche quella nord svuotata dei parcheggi, possono garantire a cittadini di un ambito urbano di rilievo metropolitano.
Va fatto come atto di giustizia, anche, nei confronti delle generazioni passate a cui va riconsegnato un territorio rubato dall’illusione di un progresso che ci ha condotti dove siamo adesso, ma anche delle nuove, che visti i tempi siamo anche noi stessi, con cui esiste il debito di un futuro sostenibile: magari con 60 alberi monumentali al posto dei 60 pilastri.
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