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La terza via

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PESCARA – A commento di un post da poco pubblicato in rete (mio profilo FB) circa la situazione della corsia ciclabile di via De Gasperi, ormai diventata parcheggio, come l’adiacente corsia riservata ai bus utilizzata come normale corsia di marcia, e quella per le auto destinata a corsia di sorpasso, qualcuno lamentava l’assenza dei vigili. “Ma i vigili dove sono?” Domanda legittima, oltre che scontata, ci mancherebbe, ma non è l’unica che ci si dovrebbe porre in questi casi, e forse neanche la prima.
Lungo quella fila, un autista, al volante della propria auto in attesa della moglie, reso edotto sul fatto che occupasse la corsia ciclabile, mi ha chiesto, guardandosi indietro, se per caso io avrei risolto il problema che gli sottoponevo se lui fosse andato via. Se si, si sarebbe spostato subito. Tradotto: “Non sono solo io, cioè io sono uno dei tanti. O tutti o nessuno, e quindi resto qui”.
Come rimediare? Ponendo un vigile a guardia permanente di questo tratto di via? Impossibile. Passaggi periodici significherebbe avere tanto personale da utilizzare poi lungo tutte le vie della città. Anche questo è impossibile. Come non è pensabile che per far rispettare le regole valga solo il meccanismo della somministrazione di sanzioni per infrazioni alle stesse: non se ne esce più!
Anch’io in cuor mio auspico la presenza dei vigili, delle Forze dell’ordine, e per Via De Gasperi ho chiamato diverse volte la Polizia Municipale, ma non sono mai rimasto così tanto da vederla arrivare.
Però stamattina li ho trovati in C.so V. Emanuele, in tanti devo dire, e con il carro attrezzi. Ecco, allora ho pensato: quanto tempo sarà necessario per rimuovere un’auto da una sosta non consentita? Quanti operatori ci vorranno? Quanto costerà? Sulla corsia di Via De Gasperi l’altro giorno c’erano una decina di auto, e solo due con autisti a bordo. Facile immaginare quanto sia improbo mettere in moto, anche per un tratto così breve, una operazione di “liberazione stradale”.
Non c’è dubbio che sul verbo “contrastare” c’è chi, soprattutto se prevaricato nell’uso dello spazio pubblico riservato, fondi più istintivamente e legittimamente il proprio giudizio. Ma c’è anche un altro piano di lavoro su cui bisognerebbe impegnarsi, ben più complesso e meno rumoroso dell’altro, che passa attraverso la presa di coscienza e di consapevolezza individuale, che prevede che ognuno faccia responsabilmente la propria parte, e che si chiama “rispetto” e se volete “collaborazione”. Tra farla franca e essere multati, con tutte le sfaccettature dei casi, c’è anche questa via: una cosa banale, in fondo, però da implicazioni democratiche sorprendenti.

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