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Rischio arboreo e rischio stradale: cosa c’è dietro?

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PESCARA – Qualche giorno fa, in una zona poco frequentata del quartiere di Villa del Fuoco, lungo il recinto della ex Conceria, zona periferica della città quindi, un albero non ha resistito alla forza del vento ed è caduto, finendo nel mezzo della corsia stradale. Nessun danno a persone o cose.

Uno dei tanti eventi che ha caratterizzato le scorse giornate di brutto tempo, con esiti anche gravi, tanto che diverse amministrazioni, come capita spesso, hanno ritenuto necessario vietare l’accesso alle aree verdi, dove possibile chiudendo i cancelli di ingresso a giardini e parchi, ovvero diffidando la cittadinanza dall’accedere alle stesse ma anche dal transitare o parcheggiare le auto nelle prossimità.

Ma perchè queste misure di prevenzione, con l’interdizione, tra l’altro solo in condizioni meteoriche critiche, sembrano essere sensate mentre applicare lo stesso criterio per le strade urbane, di gran lunga più pericolose per la cittadinanza, tutti i giorni, apparire fuori da ogni logica? Un paradosso che ovviamente ha le sue ragioni, legate soprattutto ad  una differenza di percezione del rischio, ma anche alla reale necessità di spostarsi.

La chiusura delle aree verdi è una misura relativamente semplice da adottare, dato che queste zone non sono essenziali per la circolazione quotidiana. La stessa cosa non vale per le alberature stradali o le aiuole, difficili da recintare o interdire alla frequentazione.

Le strade, invece, dove transitano pedoni e veicoli, sono infrastrutture essenziali per il trasporto e il funzionamento della città. Chiusure preventive su larga scala causerebbero disagi significativi, difficili da giustificare senza un rischio imminente e molto elevato (allagamenti o nevicate). Eppure gli incidenti, anche gravi, accadono proprio qui e sono ricorrenti, anche quotidiani, e in condizioni di normalità.

Inoltre, chiudere le aree verdi critiche per l’incolumità pubblica riduce il rischio di controversie legali in caso di incidenti, mentre per le strade la responsabilità dei sinistri (collisioni) viene spesso attribuita a conducenti delle auto, o a soggetti coinvolti, o a fattori esterni, per cui appare ovvio rimandare ad una migliore manutenzione delle infrastrutture come anche ad una maggiore responsabilità personale quando ci si mette alla guida di un veicolo ovvero ci si sposta in strada.

Ma come risolvere la coabitazione rischiosa, in quanto “incidentogena”, tra le due diverse componenti infrastrutturali, evitando di criminalizzare la prima, la verde, e ritenendo non colpevole  la seconda, la grigia? Il fatto, ad esempio, che lungo le strade ci siano alberate spesso composte da alberi più vulnerabili rispetto a quelli in un bosco naturale è un punto cruciale nel discorso sulla gestione del rischio e rimanda ad una pianificazione più accorta dell’intera città, non basata solo su criteri funzionali di trasporto.

La componente forestale lineare ha spesso poco spazio per sviluppare un apparato radicale stabile, dato che il terreno è compresso da infrastrutture (asfalto e sottoservizi come tubazioni, cavi); gli stessi alberi sono sottoposti a potature per esigenze di spazio o sicurezza, che ne  possono indebolire la struttura  o creare punti di rottura, ed inoltre l’inquinamento, il calore riflesso dall’asfalto e i danni accidentali (urti da veicoli, lavori stradali, ecc.) li rendono più vulnerabili agli stress.

In condizioni di naturalità, giardino o parco, ovvero in assenza di pressioni antropiche urbane, gli alberi sviluppano radici e chiome in modo più equilibrato e possono contare sul supporto del terreno circostante e della vicinanza di altri alberi, che contribuiscono a una maggiore stabilità generale.

Inoltre le alberate stradali sono parte integrante del paesaggio urbano, con funzioni estetiche, ecologiche e di mitigazione microclimatica. La loro rimozione o sostituzione su larga scala sarebbe, anzi, è complessa e sovente impopolare. Tuttavia, la gestione attuale potrebbe essere migliorata con un approccio più integrato alla sicurezza, specialmente nelle aree urbane densamente frequentate.

Al contempo, diminuire lo spazio dedicato ai parcheggi delle auto sostituendolo con sistemazione a verde, migliorare le condizioni di naturalità del suolo e costituire popolamenti arbustivi e arborei più compatti, come nel caso delle tiny forest, potrebbe essere un’interessante soluzione rispetto a individui isolati meno resistenti alle intemperie e alle interferenze antropiche di uso dei luoghi.

Tra gli obiettivi da raggiungere ci sono garantire una maggiore stabilità degli alberi, con un minor rischio di caduta grazie ad ambienti più spaziosi e favorevoli ad una crescita più equilibrata, dallo sviluppo delle radici, con una migliore circolazione dell’acqua e degli elementi nutritivi, ed una crescita più armoniosa della chioma, come anche il miglioramento del modello dell’ambiente urbano, diminuendo lo spazio dedicato ai parcheggi, incentivando quindi l’uso di mezzi di trasporto alternativi, come biciclette, mezzi pubblici o mobilità condivisa, riducendo l’asfalto e aggiungendo verde visibile, cosa che farebbe aumentare la biodiversità urbana, creando habitat per insetti impollinatori, uccelli e piccoli animali, oltre che migliorare la qualità dell’aria, mitigando l’effetto “isola di calore”,

Tutto ciò potrebbe trovare modalità di attuazione attraverso processi partecipativi, coinvolgendo la cittadinanza e associazioni locali nella pianificazione delle nuove aree verdi, per aumentare il consenso e individuare le priorità, individuando zone pilota per poi estenderle gradualmente, sperimentare forme di urbanismo tattico per verificarne il riscontro, anche in presenza di scelte più ruvide e divisive, quali la riduzione di parcheggi a favore di un miglioramento del trasporto pubblico e delle infrastrutture ciclabili e di incrementi di spazi verdi, quale esempio virtuoso di rigenerazione urbana sostenibile.

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