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Un pomeriggio di visioni condivise per il futuro del Campus di Viale Pindaro

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PESCARA  – Giovedì 5 giugno – Il clima del terzo appuntamento con gli stakeholders per il progetto di ampliamento del Campus universitario di viale Pindaro è stato quello di un laboratorio. Paolo Fusero, direttore del Dipartimento di Urbanistica, e Piero Rovigatti, che ha curato i rapporti con gli stakeholder, hanno gestito il confronto, animato da più voci, presso l’aula A del Polo Micara: docenti, studenti, rappresentanti di associazioni e cittadini, accomunati dalla volontà di contribuire a una visione condivisa della futura Cittadella Universitaria.

Personalmente ho preso la parola sul tema dell’abbattimento del muro di cinta del Parco della Ex Caserma di Cocco, prevista nelle proppste progettuali, sottolineando come questa non sia solo una questione urbanistica ma anche un atto simbolico. Il muro che oggi separa l’area dalla città rappresenta una barriera fisica e mentale che impedisce a uno spazio verde prezioso di dialogare con il tessuto urbano circostante.

Non si tratta semplicemente di demolire, ma di ripensare il confine come luogo di incontro piuttosto che di separazione. L’idea di aprire una “finestra” sulla piazza antistante la Chiesa di San Luigi mi è sembrata particolarmente felice perché crea una relazione diretto tra un luogo sacro, quello verde e quello universitario.

Ho anche voluto richiamare l’attuale orientamento dell’Amministrazione comunale, che per ragioni di sicurezza sembra propendere per il mantenimento del “recinto”. Su questo punto ho espresso la personale convinzione che sia necessaria una riflessione più approfondita, perché la sicurezza non può essere garantita solo attraverso la chiusura degli spazi, ma deve essere costruita attraverso la loro rivitalizzazione.

Il concetto di “ribaltare” il parco Cocco verso l’esterno, integrando con la piazza, per addirittura andare poi su, in direzione mare, lungo le vie Tibullo e via Mazzarino fino allo slargo di Piazza Salvo D’Acqisto,  rappresenta a mio avviso una chiave di lettura importante per tutto il progetto (cfr Il senso della misura). È questo tipo di inversione di prospettiva che può portare vita negli spazi urbani che oggi ne sono carenti.

In un intervento successivo  ho richiamato l’attenzione su via Tommaso da Celano, un “elemento di degrado urbano” nel suo stato attuale. Con i suoi 12 metri di larghezza, le due file di parcheggi per circa 40 auto e le due corsie di transito, questa strada rappresenta il contrario di quello che potrebbe invece essere un prezioso corridoio di ingresso alla cittadella universitaria, creando un un “green gate” di accesso a cui potrebbe fare eco, in modo visivamente più importante, Piazza Ovidio, oggi un garage all’aperto.

Il tema dei parcheggi, che pure va considerato, non può essere l’unico parametro per valutare l’uso di questi spazi. Bisogna inserirlo in una riflessione più ampia sulla mobilità e sulla ripartizione degli spazi pubblici in funzione delle diverse esigenze della città.

Il terzo punto su cui ho voluto intervenire ha riguardato le politiche di mobility management, un tema cruciale e troppo spesso sottovalutato. Ho ricordato che l’università, in quanto “azienda”, è obbligata ad attuare quanto previsto in materia dalla normativa vigente per spostare le persone dal trasporto privato motorizzato, endotermico  elettrico che sia,  verso modalità più sostenibili.

Ho sollecitato una riflessione su questo tema perché ritengo che sia necessario capire le disponibilità di servizi attuali e future in relazione alle politiche di mobility management. Non possiamo continuare a ragionare con i parametri del passato, condividendo le riflessioni svolte al riguardo dal  Prof. Fusero, quando ha affermato che l’incremento di infrastrutture stradali ha nel tempo facilitato la diffusione di automobili. È necessario adottare nuovi concetti di mobilità con maggiore consapevolezza delle conseguenze ambientali e sociali delle nostre scelte.

Quello che comunque mi ha maggiormente colpito dell’incontro è stata la qualità del dibattito che si è sviluppato attorno al concetto di partecipazione. Non si è trattato solo di un momento di ascolto, ma di vera e propria co-progettazione. La disponibilità espressa da alcune associazioni presenti a facilitare un dibattito pubblico più ampio mi è sembrato un segnale importante di come la cittadinanza sia pronta a farsi carico non solo della progettazione, ma anche della gestione condivisa degli spazi.

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